- Ciao Bruno, si è da poco conclusa la tua avventura a Bologna con la residenza artistica presso il Checkpoint Charly! Raccontaci come sei stato selezionato e in cosa è consistita l’opera performativa.
Alla residenza di Bologna ci sono arrivato dopo un viaggio abbastanza lungo. Ad aprile ho partecipato ad un bando che ho trovato online, si trattava di realizzare un’installazione site-specific da allestire al festival Poverarte, una realtà importante del circuito indipendente bolognese. Ho preparato un progetto che tenesse conto del luogo e del contesto in cui mi sarei trovavo a lavorare. Con piacere ho scoperto di essere stato tra i tre artisti selezionati a partecipare al festival, così sono partito per Bologna ed ho allestito il mio lavoro, una costellazione della Fenice luminescente ‘immersa’ in una sala espositiva completamente buia. È stata un’esperienza importante per me, il mio lavoro ha riscosso molto interesse durante i giorni del festival, e anche dopo. La giuria ha deciso di assegnarmi il premio per le arti figurative che consisteva in una residenza al Checkpoint Charly, uno studio condiviso di artisti, realtà culturale sempre più importante a Bologna. Ho sviluppato un nuovo progetto per l’occasione, SAM JYU ZI SEOI, un misto tra performance ed installazione collettiva.

- 9 sono stati i partecipanti alla performance lo stesso numero dei punti “ciechi” individuati nella cartina di Bologna. Come hanno interagito i partecipanti con l’opera e con te?
Ognuno dei 9 ha reagito e gestito il ‘nostro’ percorso a modo suo. C’è chi all’inizio era spaventato, chi si è fidato dal primo passo, chi ha cambiato andamento mano a mano. Tutti però alla fine mi hanno ringraziato per l’esperienza, e anch’io devo esser grato a loro. Può sembrare banale ma camminare bendati, anche in una città che conosci a memoria, ti porta a coglierne nuovi aspetti, a dare importanza ad altri sensi spesso sopraffatti dalla vista. Ad esempio tutti i performer da un momento in poi riuscivano a sentire dettagli che gli permettevano di localizzarsi più facilmente, una bici in lontananza, parola scambiate tra passanti, un motorino che passava rapidamente o anche l’odore di una pizza appena sfornata. È stato interessante anche cogliere le reazioni dei passanti che assistevano involontariamente alla performance.
- Come hai raccontato più volte la tua vita, ma soprattutto la tua arte, hanno subito una svolta significativa dalla sera del 2009, quando sei stato colpito da un ictus ischemico. Cosa ti ha spinto a passare dall’arte su tela a quella installativa? Che differenze percepisci maggiormente?
Spirito di sopravvivenza. Quella sera del 2009 mi ha lasciato dei danni permanenti alla vista che non mi hanno più permesso di disegnare e dipingere come facevo prima. Sono stato costretto e reinventarmi. Lo spazio è diventato la mia tela, ombra e luce i miei colori. Le installazioni sono una naturale conseguenza di tutto questo e soprattutto ho scoperto che lavorare nello spazio era la mia reale vocazione, ciò in cui riesco meglio e ciò che sento di ‘dare’ al mondo. È un modo di agire e di creare completamente diverso, c’è a monte una fase di studio intenso del luogo, che genericamente ha una sua identità, una sua storia. Un’installazione non può ignorarla. Ci sono inoltre da considerare tanti aspetti, anche tecnici, dello spazio. La mia ricerca e le mie idee si inseriscono in questo contesto, ciò che emerge da questo contesto sono i miei lavori.

- Spesso l’opera si lega alla vita dell’artista. É così per te? Come nascono le idee su cui strutturi le tue opere?
Qualche anno fa vivevo il processo della creazione in modo più ‘magico’. Adesso posso dirti che è tutto molto normale e naturale. Mi focalizzo su una ricerca, studio, mi pongo degli obiettivi, schematizzo, organizzo, progetto. Le idee fanno parte di tutto questo, non posso non averne lavorando così. È poi fondamentale realizzarle al meglio. Sarebbe riduttivo e poco responsabile dire che la mia arte è ciò che succede nella mia vita o delle improvvise illuminazioni. È ovvio che sono influenzato da ciò che mi circonda e mi accade, ma non è solo questo, col tempo il mio lavoro e la mia ricerca hanno acquisito una struttura più solida.



- Da molti anni sei nel mondo dell’arte. Cosa pensi del mercato artistico e come vengono valutati i tuoi lavori rispetto ad esso?
Ho collaborato con gallerie, musei, curatori, galleristi, art dealer, art advisor, ho partecipato a mostre, fiere quasi in tutto il nostro paese ed anche fuori. Ti prometto che non rispetterò il cliché dell’artista italiano che si lamenta della situazione italiana, ci sono dentro da più di dieci anni, con alti e bassi, è qualche anno che riesco a vivere con questo mestiere. Non sono un grande esperto di mercato, diciamo che sono stato bravo a riconoscere i miei limiti ed avviare collaborazioni con professionisti in grado di gestire anche questo importante aspetto della mia attività.
- Oggi la comunicazione è un elemento importante in ogni settore lavorativo. Nell’arte sono sempre più gli artisti che capiscono e investono sulla comunicazione social. Tu cosa pensi a riguardo e quanto tempo investi in questa nuova strategia mediatica?
Personalmente cerco di comunicare nel modo più diretto possibile e raccontarmi con sincerità, senza apporre troppi filtri tra me e chi mi segue. La comunicazione online è un mezzo che può avere grande potere, ma diventa pari a zero se poi nella realtà non si riesce a concretizzare un seguito virtuale. Sono le persone che contano davvero, non i numeri.
- Ora l’ultima domanda, quella di rito che pongo sempre agli artisti che intervisto perché aiutino i giovanissimi ad orientarsi nel mondo dell’arte. Cosa consiglieresti ad un giovane artista che vorrebbe fare dell’arte una professione?
I risultati arrivano ma c’è bisogno di investire tutto, non è consentito fare niente a metà. Cerco di ascoltare tutti e dare piccoli consigli, anche se la strada da fare nel mondo dell’arte è ed è giusto che sia personale. Ciò che realmente conta, da subito, è difendere il proprio lavoro. Soprattutto all’inizio infatti, non si conoscono alcune dinamiche ricorrenti ed è facilissimo perdere il controllo della situazione, farsi accecare da illusioni, meglio è farsi seguire nelle scelte da persone con un po’ più di esperienza. Con pazienza, un passo alla volta, ci si inizia ad orientare. Come ogni altro lavoro, anche quello dell’artista ha i suoi pro e contro. Mi sento un privilegiato, il mio sogno più grande è diventato una vera professione, ma ogni giorno c’è da lottare. A gennaio avrò l’opportunità di parlare del mio lavoro e della mia storia agli studenti di un’università, farò un modo che sia un incontro interessante e formativo, per tutti.
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S.V.